Un uomo un mito:

Giuseppe Rovani

 

Opere:

Cento anni

 

Aneddoti di rara saggezza…

 

Brani estratti dalle

Note Azzurre di Carlo Dossi

 

Vecchie osterie milanesi

frequentate dal Rovani

 

                                    

 

 

 

 

 

 

 

Aneddoti dalla vita di Giuseppe Rovani

di rara saggezza…

 

Un ammiratore diceva al Rovani:

- Chissà in mezzo a quanti libri avrà scritto la sua Giovinezza di Giulio Cesare!

- Che’l disa in mezz a “quanti liter”, - gli rispose con la massima calma lo scrittore - e el disarà pussee giust!

( trad: Che dica pure “quanti litri”, e dirà meglio!)

 

 

Che il Rovani fosse un grande bevitore, e soprattutto di absinthe, è noto, ma non in qual modo egli cercasse vincere questo vizio fatale, già avvertito com'era stato dai medici. Deliberato a non lasciarsi vincere dalla tentazione, un giorno egli decise di non entrar più in alcun spaccio di bevande alcoliche. E così infatti egli fece, passandovi più volle imperterrito dinanzi, ma poi, giunto in fondo alla strada disse: - Bravo Rovani, te set on òmm de caratter. Ogni virtù la merita on premi. Te pagarò on cicchett -. E bevve il solito fatale bicchierino.

 

A un vedovo che gli annunciava il suo nuovo matrimonio il Rovani rispose:

Te set minga degn de la fortunna che t'è capitada.

(Trad: tu non sei degno della fortuna che ti è capitata!)

 

Il Rovani, cultore impenitente di Bacco, adorava la musica del Rossini, detestava quella del Wagner, e non esitava a definire la musica dei maggiori maestri con paragoni enologici. Così diceva che il Barbiere era giocondo e inebriante come una bottiglia di champagne, il Don Pasquale fine e profumato come vin del Reno, il Trovatore robusto e schietto come vecchio barolo, quantunque verso il Verdi sentisse poca simpatia tanto da dire ch'egli non era nemmeno di Busseto, ma delle Roncole, perché la sua musica... sentiva la vanga. Arrigo Boito poi, allora giovane autore del Mefistofele, vago di sogni nordici sebben intellettualmente imparentato con la Scapigliatura milanese, era per lui un « bieco bevitore d'acqua! ».

 

Un giorno il Rovani sale in una vettura di piazza e non parla. Il vetturale aspetta un poco, quindi si volge al romanziere che, come destandosi da un sogno, gli dice:

- Achille non chiese mai ad Automedonte dove lo conducesse, ma Automedonte lo condusse sempre sul cammino della gloria. Tì intant, - continuò al vetturino che lo guardava con occhi stralunati, - menem giò a la Foppa.

(trad: te intanto portami giù alla Foppa)

 

 

Hinn domà i asen che beven quand gh'han set, soleva dire Giuseppe Rovani e anche: - L'acqua l'è bonna per lavass. - Che queste sue affermazioni scandolezzassero quelli che ostentavano sobrietà, magari per ubriacarsi in segreto, fan fede due episodi.

Quando l'autore dei Cent'anni morì, al Cimitero Monumentale un oratore non si trattenne dal deprecare « le classiche voluttà dell'intemperanza », al che Emilio Praga, collega del morto anche nel culto bacchico, scattò a dire: - Te voeut finilla, o asen? Quando poi si trattò di dedicare al Rovani una via, vi fu nel Consiglio Comunale di Milano chi si levò affermando che ad onorare Rovani s'onorava anche l'intemperanza...

(trad: Sono solo gli asini che devono quando hanno sete. L’acqua è buona solo per lavarsi…)

 

L'Italico (Primo Levi) ricorda che il padre del Rovani, buon uomo e intelligente, ma assai incolto, dopo lunghe discussioni col figlio gli rimproverava, a ragione, la mancanza d'ogni senso pratico nella vita, e concludeva:

- Oh pover mi! T'hee studiaa tròpp, te capisset pù nagott! (niente).

 

 

 

 

Brani estratti dalle

Note Azzurre

di Carlo Alberto Pisani Dossi

 

 

Sul discorso di Rovani.

Il suo discorso era una continua lezione senza la noja. Si apprendeva di più stando una mezz'ora ad udirlo quand'egli tuonava dai rostri di una taberna, che non acculattando per un anno le panche di estetica di qualche più o meno Regia Accademia. Innanzi tutto avea una voce armoniosamente profonda che ricordava quella di Garibaldi, ed egli stesso che ben lo sapea, dicea «a mettem chi on scagnell (e accennava con una mano al bellico) e tre cord (e coll'altra mano faceva atto dell'arco) sont on vioron » . I suoi stentorei “tu”, quando batteva lo stomaco, sono celebri.

 

 

 

 

 

Vecchie osterie milanesi frequentate dal Rovani

 

Luigi Medici, il fine poeta dialettale milanese, ricorda, tra l'altro, in un suo bel libro di peregrinazioni nostalgiche e di ricognizioni sentimentali (Vecchie osterie milanesi, Como, Cavalleri, 1933), usanze, costumi, personaggi della Milano dell'Ottocento, sotto tanti aspetti così varia, pittoresca, interessante. Egli ricorda, infatti, ai sottili evocatori del passato ognuno dì quei tipici luoghi dove, o soli o in compagnia di pochi amici, si mangiavano specialità gastronomiche celebrate dagl'intenditori (non per nulla il Goldoni ha detto « lupi lombardí » e il Foscolo « Sardanapali ambrosiani, di trippe coronati e cervellate ecc. ») e si beveva del vino schiettosotto

pergolati dai sedili di sasso grezzo e si chiacchierava tranquillamente:

 

tra on rigol, on basin, ona boggiada

 

chè giocare alle bocce era di precetto.

Ma che direbbe, oggi, il Rovani, se vedesse molte delle sue care osterie del suburbio diventate un «ristoratore» più o meno novecentesco? La Cascina dei Pomi, celebre per i brindisi portiani e per le pagine dello Stendhal e del Casanova, La luna piena, I tre merli, l'osteria del Pesce, della Polpetta, la Cazzoeula, la Nós (noce), cenacolo d'artisti dal Rovani al Grandi, dall'Uberti al Cremona, la Pobbia, la Goeubba dalla busecca celebrata da C. M. Maggi, la Cagnoeula, la Melgasciada, in un bosco ch'è forse parte di quello della Merlada, rifugio temuto nel Seicento dei briganti Scorlino, Legorino, Monte Tabor di cui tanto parla il Rovani (Cento anni, XIX, cap. XI), l'Osteria del laghetto a Chiaravalle, ritrovo di pescatori di rane e di cacciatori di beccacce, il Ronchett di Rann, la Barona, dov’era una villa della famosa principessa Carolina di Brunswick, moglie del principe di Galles, poi Giorgio IV, la Viola, tipica osteria suburbana cara ai vagabondaggi estetici e bacchici del Rovani, la Simonetta, celebre per esser stata la sede della Compagnia della Teppa, come ricorda il Rovani. Ch`egli fos se gran conoscitore di questi ritrovi è fuor di dubbio. Non per nulla egli, anche in enologia, era un maestro di color che sanno. Se il geologo Gorini amava l'acqua tanto da poter proclamare con Menandro: ariston men udòr, il Rovani la chiamava bieca.

Ho già ricordato, nel mio precedente volume d'aneddoti, la classica risposta dell'autor dei Cento anni ad un vetturino che gli chiedeva a quale osteria dovesse condurlo, qui ricorderò il bisticcio che la vita casalinga dei vecchi milanesi rese popolare per qualche tempo.

Avendo il Rovani trovato lo scultore Magni, autore del monumento a Leonardo da Vinci in piazza della Scala (on liter in quatter, doveva definirlo egli poi) all'osteria Magna così l'affrontò: - Te chì el Magni che '1 magna alla Magna.

Ma fu la Noce l'osteria più cara al Rovani, tanto ch'egli, un brutto giorno,, si trovò ìndebitato col padrone per le molte bottiglie bevute.. Come cavarsela? Detto fatto. Egli s'obbligò a scrivere un certo numero di versi che ricordassero e lodassero i vini colà venduti, fino ad ottenere il saldo del proprio debito.

E poi c'è chi ripete: carmina non dant ponem. Se non il pane, quella volta almeno,, diedero all'illustre autor dei Cent'anni il vino, per lui di prima necessità.

Carlo Dossi, ricordando l'assiduità del Rovani a questa osteria ha voluto imaginare nelle sue Note azzurre, il tema d'un quadro e cioè il cortile della Nòs, e Rovani ad una tavola « circondato da un'eletta schiera di letterati e di artisti » (il Cremona, il Ranzoni, il Grandi, il Magni, l'Uberti) intento a dar loro lezioni d'estetica ...

La Noce del resto era stata già indicata da C. M. Maggi come sede dell'Accadernia dei cantori meneghini.

E ora?

Scrive a ragione il Medici, maestro nel cogliere certe sfumature del paesaggio, della vita, dell'anima nostra. “Quanti ricordi nostrani raccolti tra questi vecchi n-turi! Lasciando l'Osteria della Nós sento l'ostessa sussurrare alla cameriera: Saueu chi xe? - Sciora no. - El xe un forestee”.

 

La Canzon

Milanesa